I Fieschi furono una famiglia che nel tredicesimo secolo fu al culmine dello splendore e della potenza arrivando a far salire al soglio pontificio due suoi esponenti, Sinibaldo (Innocenzo IV, 1195-1254, papa dal 1243, potente al punto da scomunicare nel 1245 l’imperatore Federico II di Svevia) e il nipote Ottobuono (Adriano V, 1205-1276, papa per soli 39 giorni, ricordato da Dante nel XIX canto del Purgatorio).
Di queste epiche vidende la “Torta dei Fieschi” rievoca un episodio collaterale e “minore” facendone protagonista il fratello maggiore di Sinibaldo/Innocenzo, Opizzo (o Opizzone Fiesco), citato nel “Trattato della Famiglia Fiesca” del 1646 (“Opizzo, figlio di Ugone, fu capitano dei Senesi contro i Fiorentini l’anno 1230 e da lui discese il ramo della Casa di Savignone…”).
Opizzo, secondo la leggenda, nel 1230 torna vittorioso dalle sue imprese guerresche (la storia dei conflitti tra Siena e Firenze non è poi così lineare, e il Fiesco in quella guerra fu un capitano d’arme forse non di primissimo ruolo, ma non importa) e decide di sposare una bella senese, Bianca dei Bianchi. Il matrimonio, d’amore oltre che d’interesse (i Bianchi sono imparentati con i banchieri senesi Bonsignori, potentissimi alleati dei Fieschi nelle loro imprese finanziarie d’Oltremare) viene celebrato con grande sfarzo, tanto da offrire alla popolazione una gigantesca torta nuziale.
L’operazione culturale-rievocativa, nei primi anni Cinquanta, è interessante e tuttora oggetto di studio: si fondono elementi reali, storici, con elementi di folclore e aspetti del tutto leggendari e si realizza il tutto a Lavagna, sede storica e antica del feudo governato dai Fieschi. Il risultato è ottimo e vitale: al culmine di una settimana di eventi collaterali (palii, mostre, spettacoli di musica e danza antica, disfide in armi), il 14 agosto il sontuoso corteo nuziale di Opizzo e Bianca riprende la grande tradizione dei “corteggi” tramandati dalla letteratura storica in una cornice di pubblico che sfora spesso le diecimila presenze.
La sera prima, sul sagrato della trecentesca Basilica di San Salvatore, voluta da Innocenzo IV e completata dal nipote Adriano, Opizzo e i sui cavalieri hanno celebrato l’addio al celibato (in dialetto ligure di Levante tradotto in “Addio do Fantin” con un sontuoso banchetto: musiche, danze, giochi d’arme e di bandiera in una cornice monumentale di grande suggestione sono il prologo della grande festa del giorno successivo.